Un taglio di moda
Stiamo organizzando la sezione "parrucchieri ed acconciatori nel mondo".
Migliaia di siti nel mondo della moda capelli.
Ogni sito avrà una breve presentazione per facilitarvi la navigazione.
Sarà.."oro per i vostri occhi".
Sarà...un vostro enorme "balcone" nel mondo della moda capelli.
Il tutto..organizzato, ordinato e...tradotto in italiano!!!
Quando sarà pronta la nuova sezione....attiveremo un link..... qua!!
Nel frattempo...buona navigazione e un.."grazie tantissime" per la visita.
La moda capelli
Considerazioni estetico/antropologiche sul Mondo dei Capelli.
Il Cosmoprof di Bologna nasce nel 1967. Negli ultimi anni una serie di alleanze strategiche con accreditati partner internazionali ha portato alla creazione di un autentico network mondiale.
Quattro le manifestazioni che oggi si fregiano del marchio Cosmoprof:
E la loro strategia di espansione all’estero prosegue, con l’obiettivo di consolidare la presenza del Cosmoprof in tutto il mondo. La partecipazione alle diverse manifestazioni Cosmoprof offre importanti momenti e opportunità di crescita alle aziende che intendono espandersi a livello internazionale, garantisce agli espositori una visibilità immensa e opportunità commerciali nei Paesi a più alto tasso di crescita.
Se volete curiosare e avete tempo guardatevi ogni tanto (o spesso) queste:
Infocosmetics - news e informazioni su cosmetica e cosmesi
Notizie sul lavoro
Notizie sulla casa
Notizie su viaggi e vacanze
Le informazioni...non mancheranno.
Oppure....eccoVi alcune gallerie immagini di tagli capelli:
Tagli Capelli
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Cenni generali.
La moda capelli, come ben sapete ha origini antiche.Dimmi come ti pettini e ti dirò chi sei
Provate a digitare “moda capelli” in un qualsiasi motore di ricerca pubblicizzato su internet: troverete moltiplicata sino all’inverosimile pubblicità creata in siti web grazie alle agenzie specializzate per risolvere l’odierna ossessione per la calvizie. A dispetto di uno o due siti che promuovono sufficienti cenni di tricologia (cioè di anatomia, fisiologia e patologia del capello) o di uno sparuto numero di indirizzi elettronici di parrucchieri e acconciatori vari, sembra che nella rete la questione scottante sia quella dell’angoscia per la caduta dei capelli.
Fenomeno che sembra in crescendo legato alla moda di "sentirsi belli ed accettati".
E, dunque, di tutti i possibili, espedienti per evitarla, bloccarla, rallentarla, quando non addirittura il trapianto.
Eppure, solitamente la calvizie deprime chi l'ha.
La mancanza quasi assoluta di capelli è stata per lungo tempo, in varie epoche e paesi, un indice di sacralità, di regalità, di autorevolezza e di purificazione.
Strumento per pubblicizzare il proprio stato di pensiero. Così è sicuramente in molte culture e religioni orientali, dove monaci buddisti e bramini indù, guerrieri mongoli e principi tartari ostentano il cranio rasato (magari con un piccolo codino che sporge timidamente dietro l’orecchio) come segno di potere.
Un salone di bellezza
Chi ha ragione? Tutti e nessuno, ognuno ha le sue vittorie. Mah. La moda capelli è solo una moda?
I capelli, insomma, parlano: e lo fanno in modi molto vari e sofisticati, tenendo discorsi talvolta perentori oppure raccontandoci complesse storie di potere e di seduzione.
Coi capelli si comunica intenzionalmente di tutto (la chioma fulva di Rita Hayworth mirava a intimidire provocando; la capigliatura rasta rivendica un’appartenenza etnica...un sentirsi appartenenti ad una specifica moda, gruppo, ecc), e con essi, spesso inconsapevolmente, si significa altro ancora (una capigliatura grigia connota maturità e saggezza; una pettinatura in ordine significa serenità; lunghe chiome fluenti segnalano spensieratezza...).
È difficile, forse impossibile, non esprimere un qualche senso attraverso i nostri capelli, siano essi tenuti sotto costante controllo igienico ed estetico oppure lasciati crescere alla rinfusa con malcelata indifferenza per la cura di sé.
Le pettinature definiscono il livello entro il quale ci si vuole pubblicizzare tra la gente. E' inconfutabile, essa è promozione e marketing di noi stessi.
Questa straordinaria ricchezza di mezzi espressivi e di contenuti comunicati, variabile da epoca ad epoca, da paese a paese, da gruppo sociale a gruppo sociale, sembra però far riferimento a un pacchetto relativamente ristretto di meccanismi di fondo (colore, lunghezza, forma, ampiezza, movimento, copertura) e a una serie di significati sostanzialmente ricorrenti (età, sesso, condizione sociale, religione, stato psicologico, emozione).
Analogamente alle lingue verbali, anche il linguaggio dei capelli dipende da codici sociali precostituiti, sistemi di regole grammaticali e sintattiche che ogni collettività produce più o meno arbitrariamente al proprio interno, e conserva gelosamente come segno della propria identità culturale, dei propri sistemi di valori, delle proprie attitudini e credenze.
Le scelte più o meno capricciose e creative del singolo individuo hanno ragion d’essere se e solo se si rapportano a questi codici, li tengono in adeguata considerazione, li trasgrediscono rispettandoli.
Il colpo di spazzola che ogni mattina ciascuno di noi si dà dinnanzi allo specchio dipende solo apparentemente dalle nostre scelte di gusto: in realtà sono la società, la cultura, le mode a determinarne la direzione e l’intensità, l’accuratezza e la convinzione.
Dimmi come ti pettini e ti dirò a quale cultura appartieni. Dimmi come ti pettini e ti dirò come ti vuoi pubblicizzare alla gente.
Con buona pace dei parrucchieri, artisti più o meno estrosi e alla moda, più o meno banali, ma sempre e in ogni caso seguaci dei costumi sociali e delle mode del momento, magari personalmente rivisitati per la gioia narcisistica delle proprie (e dei propri) clienti.
Se andare dal parrucchiere, è stato detto, è come andare dallo psicanalista (quasi: una moda), è perché la coiffure, ben più forse degli occhi, è lo specchio dell’anima: un’anima che nulla ha di euforicamente o angosciosamente intimo, ma che è comunque sempre espressione di un vivere collettivo, di un essere nel mondo sociale e storico.
I capelli corti possono dare personalità
Ogni acconciatura alla moda, frutto di lunghe noiose ore sotto il casco oppure esito spontaneo del lavoro del tempo e degli agenti atmosferici, assume così
nella nostra vita quotidiana l’aspetto e le funzioni di un “testo”: si comporta in modo analogo a un racconto letterario, a un articolo di giornale, a un annuncio pubblicitario.
A ben pensarci, infatti, la pettinatura dei capelli non è soltanto il simbolo stereotipo di un’appartenenza culturale o sociale volta per volta diversa.
Essa dice tante altre cose: parla di quel che è adesso la nostra testa, ma anche indirettamente di quel che era prima, e forse anche di quel che sarà; dice quali e quante operazioni sono state necessarie per arrivare a quel risultato, indica chi le ha compiute, a quale scopo, nei confronti di chi e se si sente il peso della propria identita "alla moda" con gli altri.
Ci sono capelli griffati dal parrucchiere alla moda in occasione di una serata mondana, ma ci sono anche capigliature su cui si vede la firma del vento o della pioggia in una brutta giornata autunnale trascorsa fra le vie cittadine.
E così come esistono opere chiuse e opere aperte, romanzi a chiave e poesie che consentono molteplici interpretazioni, allo stesso modo esistono acconciature chiuse (la cresta punk, il caschetto) e capigliature aperte (la testa rasata può diventare uno spazio dove inscrivere tatuaggi; la permanente si riempie di treccine e ammennicoli vari).
Alla staticità di certe teste si oppone il dinamismo di altre, ma anche, più in generale, la maniera in cui la capigliatura viene interpretata, nel senso teatrale del termine, da chi ne fa sfoggio: con disinvoltura o con imbarazzo, ingessati o incuranti.
Laddove la stabilità formale dei capelli segnala, come s’è visto, l’identità collettiva e individuale, destinata però usurarsi nel corso del tempo, il dinamismo permette, per così dire, nuove iniezioni di valore, trasformazioni significative, rinascite del senso.
I capelli lisci mettono in risalto il viso ed i suoi lineamenti
A dispetto dell’evidente importanza culturale e storica dei linguaggi e della comunicazione legati alla capigliatura, gli studi seri su questo fenomeno antropologico sono assai pochi.
L’ormai classico La scimmia nuda di Desmond Morris (tascabili Bompiani) è probabilmente il testo dal quale occorre ancora partire, per comprendere quanto il confine che separa l’uomo dall’animale passi innanzitutto dalla cura culturale dei capelli.
Uno studio approfondito, in lingua inglese, è quello del canadese Grant McCracken (Big Hair. A Journey into the Transformation of Self, The Overlook press, New York 1996), dove fra l’altro si propone una puntigliosa distinzione fra sette tipi di bionde (esplosiva, solare, sfacciata, pericolosa, mondana, fredda, temporanea alla moda), tutte fatali, ma con esiti molto diversi.
In Italia bisogna andare a spulciare nell’ormai ricca bibliografia sulla moda come fatto comunicativo e linguistico (è per esempio appena uscita da Einaudi la raccolta di scritti Il senso della moda di Roland Barthes), e vi si trovano studi su argomenti specifici come la moda di strada lanciata dai punk o i significati degli skinhead (si veda il volume collettivo curato da Giulia Ceriani e Roberto Grandi La moda: regole e rappresentazioni, Franco Angeli).
Fa eccezione un libro di Ugo Volli di alcuni anni fa (Block modes, Lupetti), che dedica al linguaggio dei capelli un lungo chiarificante capitolo dove si ricostruiscono le ragioni culturali e le articolazioni semiotiche di questo universale mezzo di comunicazione.
Osservazioni interessanti sul senso sociale delle odierne capigliature postmoderne si trovano in diversi libri di Patrizia Calefato, come per esempio Moda, corpo, mito (Calstelvecchi) e Mass moda (Costa & Nolan).
Ovviamente: l’assenza di capelli sul capo è connotata sia positivamente sia negativamente a seconda delle situazioni.
Ma non per banali questioni di gusto individuale, sul quale per definizione non è dato disputare. Quanto semmai per una ragione più profonda, legata al fatto che la capigliatura, sempre e comunque nella storia, ha assunto molto più di quanto non si pensi il ruolo di un vero e proprio linguaggio.
Silenzioso e ambiguo come molti altri linguaggi del corpo (espressioni del viso, movimenti delle mani...), ma comunque strumento variamente adibito a parlare di noi animali sociali, dei nostri desideri, abitudini, provenienze, età, religione e quant’altro.
E il linguaggio, si sa, è tanto arbitrario nelle sue scelte espressive quanto necessario nelle sue articolazioni interne.
Una volta stabilite le regole, per quanto strane o irrazionali possano apparire, occorre usarle per quel che sono, pena l’incomunicabilità e l’esclusione dal consesso sociale.
Forse, a essere veramente importanti non sono allora le pettinature in sé ma le loro trasformazioni: come quando si decide di tagliarsi i capelli per ricominciare una vita, di tinteggiarli per imbarcarsi in una nuova relazione sentimentale, o anche semplicemente di lavarli per ritrovare il buonumore (cantava Gaber: “quasi quasi mi faccio uno shampoo”).
Nel corso di una qualsiasi interazione, lo sappiamo, torturarsi una ciocca, raccogliersi i capelli o scioglierseli è certamente più significativo che mostrare la nuova piega del venerdì sera.
C’è tutta un’etica nella gestione della propria chioma, con la quale ciascuno di noi deve rendere conto del proprio essere agli altri prima ancora che a se stesso.
E dietro tale etica non può non celarsi un’intera filosofia dell’esistenza e della volontà.
Come al solito, ad averlo capito era stato già Nietzsche, per il quale i capelli sono come “una leggera trama cui agganciare i propri pensieri spirituali, quasi un filtro di separazione del materiale e dell'istintivo da quello che è spirito e anima”.
Spicca dunque il lavoro di Massimo Baldini, professore nell’Università LUISS di Roma e autore di diversi volumi d’argomento linguistico e comunicativo (fra cui: Il linguaggio della pubblicità, Storia della comunicazione, Elogio del silenzio), che da qualche anno dedica all’estetica e alla lingua delle capigliature un’intensa attività di ricerca.
Nel 2003 ha pubblicato Capelli. Moda, seduzione, simbologia (Peliti associati) e nel 2004, con Costanza Baldini, Il linguaggio dei capelli (Armando).
Adesso manda in libreria, sempre per Armando, altri due volumi sul tema: La moda capelli. La storia, le idee, i dati di tipo visuale (curato insieme a Marica Spalletta, pp. 239, 20,00) e L’arte della coiffure. I parrucchieri, la moda e i pittori (scritto con Costanza Baldini, pp. 111, 12,00).
Il primo raccoglie i risultati di una ricerca collettiva sulla comunicazione visiva legata alle mode relative alla capigliatura, e vi si analizza un ricco corpus pubblicitario che spazia nell’arco di oltre quarant’anni.
Il secondo ripercorre le tappe dell’arte della parruccheria, dall’antichità a oggi, che spesso s’incrocia con la storia dell’arte e della letteratura. Segnaliamo inoltre la mostra Un diavolo per capello. Dalla sfinge a Warhol, appena inaugurata al Museo Civico archeologico di Bologna, che in trecento opere (reperti archeologici, dipinti, sculture, fotografia di moda e quant’altro) ricostruisce la storia dell’acconciatura dall’antico Egitto alla Pop art (a cura di Pietro Bellasi e Tulliola Sparagni, catalogo Mazzotta).
Taglio elegantemente aristocratico alla moda
Tutti i popoli della Terra, in ogni epoca, hanno elaborato un complesso codice di pettinature diverse per esprimere ogni tappa della vita, per comunicare il loro ruolo, il loro stato sociale e la loro identità culturale. Così per i monaci orientali il cranio rasato è simbolo di castità.
I sacerdoti delle tribù dell'Africa Occidentale concepiscono i capelli come sede del Dio.
I Masai posseggono la magia di "far pioggia" solo finché non tagliano barba e capelli.
I giornalisti televisivi di tutto il mondo si sono resi conto che con una pettinatura anonima acquistano credibilità.
I capelli sono un mezzo di espressione ineludibile e, sapendolo leggere, rivelano persino ciò che talvolta vorremmo nascondere come l'età, l'etnia a cui apparteniamo, il credo politico, il grado di istruzione.
Capelli e personalità
Ma tutto questo è ancora riduttivo e non basta a spiegare come da sempre, e in tutte le civiltà, la capigliatura abbia rappresentato un elemento fondamentale della personalità, sostegno della bellezza, del fascino e della seduzione, talvolta del potere... e come, ancora ai giorni nostri, la capigliatura conservi un profondo valore simbolico. E rappresenti una moda in se stessa.La capigliatura umana sembra essere divenuta, con l'evoluzione, qualcosa di futile o inutile, non alla moda. Ma non è così! I capelli conservano la fondamentale funzione di farsi vedere e di essere visti ed hanno la funzione visivo/estetica della presentazione agli altri.
Con l'acconciatura, i capelli permettono di modificare l'aspetto esteriore.
Un taglio o un'acconciatura sbagliata alla moda può trasformarsi in una tragedia (e questo è oggi riconosciuto anche dalla Legge sicché un parrucchiere che sbaglia può essere denunciato per negligenza e incapacità professionale).
Con il taglio giusto si può affermare le proprie radici, il proprio sesso, trasmettere il proprio credo religioso, sfidare i professori, farsi nuovi amici, provocare uno scandalo, trovare l'anima gemella, opporsi alle consuetudini sociali, farsi licenziare...
Il fatto è che siamo ancestralmente abituati a considerare i capelli come un "attributo sessuale" e, se i capelli non ci sono più, possiamo vivere questa condizione come una regressione ad uno stato, una sconfitta alla moda come infantile, nel quale non si sono ancora ben differenziati sessi e ruoli, con i diritti e i poteri che essi comportano.
La perdita dei capelli è pertanto inconsciamente vissuta come castrazione, perdita della virilità, della forza, della giovinezza, della mascolinità o della femminilità alla moda.
"Da sempre, e in tutte le civiltà, la capigliatura ha rappresentato un elemento fondamentale della personalità, sostegno della bellezza, del fascino e della seduzione, talvolta del potere... e, ancora i giorni nostri, la capigliatura conserva un profondo valore simbolico.
Taglio di una moda provocatoria
La calvizie è un problema che affligge solo in Italia circa nove milioni di persone, interessando, in forma più o meno grave, il 20% dei giovani maschi (20/30 anni) e il 50% degli uomini sopra i cinquanta anni.
Questa grande diffusione la fa considerare, nel maschio, un fenomeno parafisiologico e quindi normale.
La donna e i capelli
Nella donna, invece, che sembra sempre più afflitta da problemi di capelli, forse per lo stress a cui è più soggetta nell'epoca moderna, la calvizie può essere sintomo di un quadro ormonale alterato e quindi deve essere curata con opportune terapie.
Se è vero che spesso l'uomo accetta malvolentieri una calvizie precoce, per una donna questo problema può assumere i caratteri di una vera e propria tragedia che la porta fuori dal mondo della moda.
Vale quindi la pena di fare tutto il possibile per conservare una chioma sana e vigorosa, affidandosi finché è possibile alle opportune terapie preventive.
Nei casi invece di gravi calvizie, resistenti ad ogni tentativo di cura, si può ricorrere alle tecniche chirurgiche messe a punto ormai da anni e quindi affidabilissime.
Manipolazione di una foto
STORIA DELLA BELLEZZA
Evoluzione storica della moda capelli.
Non si può parlare di “canoni estetici” fino all’epoca classica, perciò, per tutto il periodo precedente a quella, possiamo solo prendere atto attraverso le fonti documentarie, di come i popoli più antichi cercavano di rendere più gradevole il loro aspetto fisico.
ETA’ ANTICA
Gli Egizi importavano dall’Oriente oli essenziali e minerali utili alla produzione di unguenti e profumi già 3500 anni prima di Cristo.
I sacerdoti confezionavano e conservavano, in vasi di alabastro, timo, origano, mirra, incenso, lavanda, oli di sesamo, di oliva e di mandorle.
Questi prodotti, la cui funzione primaria era nella mummificazione, venivano usati anche per massaggiare il corpo dei vivi dopo il bagno e per preservarlo dagli sgradevoli effetti della sudorazione.
L’uso di questi unguenti fu poi adottato anche da altri popoli del Mediterraneo.
Anche la cosmesi ebbe grande diffusione in Egitto, tra uomini e donne: l’antimonio fu la materia prima per il bistro (kohol) per far risaltare gli occhi sottolineando ciglia e sopracciglia e l’henné fu usato per dipingere le unghie di mani e piedi.
Anche gli antichi Mesopotanici, uomini e donne, usavano bistro, belletti e capelli posticci mentre molto sobri furono i costumi degli Ebrei che usavano oli ed unguenti profumati ma non cosmetici.
I NOSTRI " NONNI " ALLA MODA:
ETA’ CLASSICA
I Greci
Ancora vago il concetto di bellezza e moda capelli nel periodo pre-classico: in Omero viene attribuita la perfezione fisica alle divinità ed agli eroi di cui, di volta in volta, si mettono in risalto le membra armoniose e possenti, se sono maschi, o le guance rosate, gli occhi cerulei e le bianche braccia ,se sono femmine.
Bisognerà arrivare al V secolo a.C. per trovare nelle sculture di Mirone, Fidia e Policleto la concretizzazione della teoria estetica che essi avevano elaborato: un corpo è bello quando ogni sua parte ha una dimensione proporzionata alla figura intera.
L’atleta è il soggetto preferito dagli scultori classici e diventa il modello per rappresentare anche la divinità; nell’atleta e nel dio le qualità morali come l’autocontrollo, il coraggio, l’equilibrio interiore e la volontà concorrono a farne la misura, il canone della perfezione: sono gli esseri superiori con cui devono misurarsi i comuni mortali.
Oli profumati di rosa, gelsomino o nardo vengono usati da uomini e donne per ungere corpo e capelli dopo il bagno e durante i banchetti e le donne di ogni età sogliono imbellettarsi il viso con una crema a base di biacca prodotta a Rodi: l’uso di questo belletto è, però, vietato durante il lutto e le cerimonie legate ai misteri di Demetra.
I Romani
Dopo la conquista della Grecia (146 a.C.), anche i Romani impararono a curare il loro aspetto fisico ed assunsero, tra l’altro, i canoni estetici e le relative usanze del popolo vinto: “Graecia capta ferum victorem coepit “ ossia “ La Grecia conquistata conquistò il selvaggio vincitore”.
Nel I secolo a.C. Vitruvio scrive. “ ….la natura ha composto il corpo umano in modo tale che il viso, dal mento all’alto della fronte e alle più basse radici dei capelli, fosse la decima parte del corpo…, la terza parte del viso, considerata in altezza, è dal mento alla base delle narici; un’altra terza parte è costituita dal naso stesso considerato dalla base delle narici al punto d’incontro delle sopracciglia e la terza parte va da lì alla radice dei capelli…”: è la stessa teoria della perfezione espressa dagli scultori greci!
Le raffinate abitudini greche ed orientali influenzarono fortemente i costumi dei Romani durante l’Impero ed i dipinti dell’epoca ci danno notizia dei trucchi usati dalle donne per essere più belle.
Si pubblicarono addirittura dei manuali di bellezza ( es.” De medicamine faciei feminae “ di Ovidio ), in cui si consigliava l’uso di cerussa di Rodi per nascondere le imperfezioni della pelle; di fucus o purpurissum per dar colore al viso e alle labbra; di fuligo per scurire ciglia e sopracciglia e dar risalto agli occhi.
Le Romane usavano anche creme depilatorie a base di olio, resine, pece e sostanze caustiche e tingevano i capelli di rosso acceso se li avevano scuri.
A Roma non si conosceva l’uso del sapone e, se qualche signora della famiglia imperiale (v. Poppea) è rimasta famosa per i suoi bagni in latte di asina che rende bianca e liscia la pelle, tutti usavano, come detergenti, la soda o la creta finissima o, ancora, la farina di fave e, dopo il bagno massaggiavano il corpo con olio di oliva per proteggersi dalle infreddature, come racconta Plinio.
Con l’avvento del Cristianesimo, i nuovi valori squisitamente spirituali che esso propone tendono ad annullare la ricerca della bellezza fisica e Tertulliano (II sec.d.C.), nel suo trattato “ De cultu feminarum” condanna come peccaminose le abitudini estetiche delle donne.
Taglio elegante. moderno ma contemporaneamente bizzarro
IL MEDIOEVO
Le invasioni dei popoli dell’Europa nord-orientale e lo sconvolgente mutamento culturale che ne deriva per l’ex Impero romano, rendono superfluo tutto ciò che non è un bisogno primario: i modelli estetici classici non hanno alcun senso e gli invasori possono proporre, tutt’al più, l’uso di burro acido per lucidare i capelli.
Ma anche questi selvaggi conquistatori furono lentamente conquistati dalla civiltà dei vinti.
Per ritrovare un po’ di buon gusto bisognerà arrivare all’epoca feudale ( X sec. d.C. ), quando dai castelli franco-provenzali si diffonde il modello culturale cortese che restituisce una qualche gentilezza al vivere civile.
Ne deriva un recupero di valori tra i quali l'apprezzamento per la bellezza (specie quella femminile), esaltata dai trovatori che, viaggiando di corte in corte, diffondono con i loro canti la fama di bellissime castellane e, senza averne piena coscienza, contribuiscono a creare dei nuovi canoni estetici pur se quasi esclusivamente femminili.
E’ il modello di una moda e bellezza nordica quello che si impone, prima attraverso la letteratura, poi attraverso le conquiste militari: la carnagione chiara, i capelli biondi e gli occhi azzurri, che sono caratteristiche fisiche di Normanni e Svevi, diventano il segno della distinzione sociale e condannano i più diffusi colori scuri, tipicamente mediterranei, ad essere indice di subalternità.
“Biondo era e bello, alla moda e di gentile aspetto…” dirà Dante presentando Manfredi di Svevia e bionde sono le madonne sacre o profane che siano.
Si ripropongono manuali di bellezza che suggeriscono alle donne come rendere candido e liscio il viso (con biacca, allume, borace, limone, aceto e chiara d’uovo) e biondi i capelli (con tinture e lozioni a base di vegetali e minerali), rosse le labbra (con minio e zafferano ) e bianchi i denti (con la salvia).
Benché la morale cristiana condanni questi costumi (v. Jacopone da Todi nella Lauda “L’ornamento delle donne dannoso”) o la satira ne faccia oggetto di sberleffo (v. Boccaccio in “Corbaccio”) la moda imperversa e le donne stesse preparano da sé i loro belletti se non possono ricorrere ai “merciai”.
IL RINASCIMENTO
L ‘ammirazione per il bello inteso come perfezione e armonia riporta in auge i canoni estetici classici e la necessità di ricercare rimedi indispensabili per rendere perfetto ciò che non lo è del tutto.
Nel 1562, G. Mariniello scrive il primo trattato di cosmetologia dell‘Occidente (“Gli ornamenti delle donne”) e non è un caso che a farlo sia un italiano: in Italia infatti predomina una concezione di vita che celebra la bellezza del corpo e italiani sono i primi profumieri.
Grazie ai mercanti veneziani o fiorentini preziose sostanze orientali vengono immesse sul mercato per soddisfare le aspirazioni di uomini e donne desiderosi di piacere e di piacersi; una vera mania per i belletti ed i profumi si diffonde nelle classi più abbienti: vaporizzazioni di mercurio, bistecche crude sulla pelle, ricette segretamente preparate e riservate a pochissime elette permettono alle dame delle corti signorili di avere quell’aspetto che pittori come Botticelli o Tiziano hanno eternato.
Quando Caterina de Medici sposa il re di Francia porta con sé, a Parigi, Renato il suo profumiere personale che darà origine ad una produzione locale di cosmetici (seconda metà del 1500).
La mitica Barbie usata per appassionare i bimbi alla moda capelli
Il 600/700 - l'epoca delle mode "frivole"
E’ l’epoca delle mode frivole, teste incipriate, dei nei finti su viso, spalle e décolleté.La toilette di dame e cavalieri esige parecchio tempo: bisogna preparare il viso con poca acqua e alcool profumato; vi si stende sopra un unguento fatto con pasta di mandorle e grasso di montone e poi la biacca.
Il viso diventa una tavolozza su cui col bistro si ridisegnano occhi e sopracciglia e si spennella un liquido rosso (in ben 12 sfumature!) per dar colore. Si usa addirittura dell’azzurro per sottolineare le vene.
Il modello estetico viene sempre dalla corte, specialmente quella di Francia, e a Parigi Mademoiselle Martin, profumiera reale, è l’arbitro dell’eleganza femminile.
A soddisfare prontamente i bisogni estetici dei cortigiani sono addirittura poste in commercio delle trousses che contengono belletti bianchi e rossi, matita per labbra e nei finti.
In Inghiltera invece nel 1770 il Parlamento emette un decreto secondo il quale sarà condannata come strega qualunque donna abbia conquistato un marito tramite capelli finti, tacchi alti, profumi e belletti e il matrimonio sarà considerato nullo.
Una parrucchiera al lavoro
L’ETA’ CONTEMPORANEA
I radicali mutamenti determinati dalla rivoluzione francese e l’avvento della borghesia portano nuovi modelli di vita e nuovi costumi.Lo spirito pratico dei borghesi è immune dai fasti e dagli eccessi coltivati finora; anzi, gli ideali forti del Romanticismo fanno emergere l’interiorità di uomini e donne il cui aspetto fisico sarà specchio di animi tormentati e inquieti:
"Solcata ho la fronte, occhi incavati intenti crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto labbro tumido acceso e tersi denti capo chino, bel collo e largo petto; giuste membra…"
Si presenta così Ugo Foscolo (1778-1827), fascinoso esemplare maschile dell’epoca.
Il vero diventa soggetto dell’arte e questo canone porta alla ribalta le classi sociali subalterne e, per la prima volta nella storia, si scoprirà la bellezza anche in personaggi minati dalla tisi, filatrici di seta, lavandaie e sartine, in contadini e pescatori.
Una relativa sobrietà di costumi tipicamente borghese coinvolge le classi sociali più abbienti e la bellezza non è più potenziata da “ritocchi” evidenti e da abiti particolarmente sfarzosi che sono invece riservati alle donne di malaffare.
Il progresso industriale consente il nascere delle prime industrie cosmetiche e nel 1890, a Parigi Madame Lucas fonda la prima Maison de Beauté.
Il XX secolo si apre su scenari drammatici: la Prima guerra mondiale porterà morte e fame in Europa e ci sarà poco da disquisire su ciò che è bello; lo stesso accadrà tra un ventennio con la Seconda.
In mezzo, in Italia e Germania, la dittatura che, programmando la vita quotidiana del popolo quasi come una moda, proporrà modelli autocelebrativi: uomini belli e virili come il capo fatti per essere soldati e donne floride e prosperose fatte per essere spose e madri di soldati. Negli anni venti comunque, per la prima volta nella storia, le donne avevano voluto tagliare i capelli alla garçon , avevano abbandonato abiti lunghi, sottogonne, busti e gardenfant per indossare abiti dalle linee morbide e scivolate e soprattutto dall’orlo al ginocchio proponendo mode.
Nel secondo dopoguerra sarà il cinema, soprattutto quello americano, a proporre i nuovi canoni: le vamp bionde platinate, brune appetitose o rosse incendiarie, tutte superdotate, saranno le ispiratrici della moda, del look, dello stile di vita di donne di ogni ceto sociale mentre per gli uomini varranno i modelli del duro, del rubacuori o del bel tenebroso.
Lo sviluppo successivo di altri mezzi mediatici (televisione e rotocalchi in particolare) incentiveranno la tendenza, sempre più attuale, ad assumere come canoni quelli proposti dal mondo dello spettacolo e delle passerelle.
Le migliori disponibilità economiche ed i nuovi ritrovati della scienza, della cosmetologia, delle tecniche chirurgiche e della medicina, consentono a uomini e donne della nostra epoca di adeguarsi sempre più pienamente ai modelli proposti e scelti alla ricerca di una perfezione che, purtroppo, ha l’inconveniente di passar presto di moda.
Un salone parrucchieri sufficientemente attrezzato sogno di molti giovani
LA MODA DEI CAPELLI NEL CORSO DEI SECOLI
"Come porti i capelli bella bionda? Tu li porti alla bella marinara... tu li porti come l'onda, come l'onda in mezzo al mar..."Ancora capita di canticchiare -ai più anziani magari- la famosa canzone di Cochi e Renato che ci accompagnò per diverso tempo, dove le parole facevano un percorso ironico fra acconciature, colore, tinte, balsami e massaggi alla cute, praticati dal mitico parrucchiere Gino... ma la storia dei capelli e delle acconciature femminili è lunga, fino a divenire, all'inizio del secolo scorso una vera e propria "questione" che spaventava soprattutto gli uomini.
Era forse impazzita la donna dei primi anni del novecento o aveva solo il desiderio di somigliare sempre più all'uomo? La moda dei capelli corti arrivò dall'America dove furono indetti dei concorsi di bellezza sul taglio dei capelli e le nuove acconciature.
L'istituzione della "chierica" in alcuni ordini monastici ha un profondo valore simbolico: rinunciare ai capelli per manifestare la propria indifferenza alle istanze mondane"
E' quindi comprensibile che le malattie del capello e/o del cuoio capelluto costituiscano un problema esistenziale preoccupante, che mette in discussione l'immagine fisica e lo stato psichico degli uomini e delle donne che ne sono colpiti. La capigliatura diventa rapidamente fonte di disperazione quando si sfoltisce o solo diventa spenta e poco attraente.
Il primo concorso del genere fu istituito a Cleveland (Ohaio) con grosso successo nel mondo femminile, successo che però venne visto come una "minaccia" alla classe e alla bellezza della donna rappresentata fino a quel momento dai capelli lunghi raccolti in acconciature fatte di riccioli adornati con fiocchi, fermagli e spilloni.
La nuova moda dei capelli corti sbarcò in Europa negli anni venti passando per l'Inghilterra e approdò in Francia dove i parrucchieri parigini lanciavano un'acconciatura "di mezzo" senza costringere troppo al sacrificio della chioma femminile. I capelli lunghi erano sempre stati una regola, i corti l'eccezione.
Una immagine di acconciatori al lavoro
UN PO' DI STORIA
Nell'antico Egitto le donne portavano i capelli lunghi raccolti in trecce che ricadevano sulle spalle, spesso libere o tenute da una fascia o da un pettine. Anche le donne greche portavano capelli lunghi e più lo erano, più permettevano sfoggio di vanitose acconciature.Lo stesso Apuleio descriveva di capelli annodati in folte trecce che coronavano il capo delle donne e che, senza la seduzione di una bella capigliatura, a nulla valevano alle stesse, né oro, né diamanti, né ricche vesti.
I capelli corti si portavano soltanto in segno di lutto o per punizione o in segno di servitù. Le donne si recidevano i capelli sulle tombe dei propri cari, sacrificando con tale gesto quello che avevano di più caro. I mariti traditi castigavano le mogli infedeli con il taglio dei capelli, costringendole a non uscire di casa tale era il disonore per la donna non mostrare più la propria chioma.
Alle schiave venivano invece tagliati se non addirittura rasati del tutto.
Anche le donne dell'Impero romano tenevano molto alla ricca capigliatura e, addirittura, portavano sulla testa veri monumenti ricchi di trecce e ornamenti.
Nel Medioevo le donne fecero crescere i capelli a lunghezze mai raggiunte prima. Le castellane e le eroine di poemi cavallereschi erano del tipo tracciato dall'Ariosto con la descrizione della Fata Alcina: "con bionda chioma, lunga e annodata". Ma quest'epoca vide anche la perdita di molte folte chiome.
Come le donne sacrificavano i propri capelli in segno di lutto, così quelle che entravano nei monasteri, volgevano le spalle alla famiglia e al mondo esterno, rinunciando con il taglio dei capelli, alla seduzione della bellezza.
Nelle epoche successive, la moda ha visto sciogliere, annodare, raccogliere, adornare e arricchire i capelli femminili nelle più svariate forme, ma lunghi o corti che siano, i capelli hanno da sempre rappresentato per la donna motivo di orgoglio e civetteria e una testa in "disordine" è sempre un segno di poca attenzione alla persona stessa. Oggi si sono riscoperti cappelli e accessori per capelli a cui anche la donna cosiddetta "pratica" non rinuncia più.
Uno stile elegante ed alla moda
CURIOSITA' & CITAZIONI
Quando nel 1461 Filippo il Buono si ammalò di una grave malattia, i medici gli ordinarono di radersi il capo. Una volta guarito, il vecchio Duca, che aveva avuto fino ad allora una magnifica capigliatura, si vergognò della testa rasata e per paura di essere deriso, promulgò un editto con il quale veniva imposto ai nobili dei suoi Stati di farsi radere il capo.
Forse anche in questa circostanza nacque un tipo di moda.
Antropologia Tricologica
La biologia ci insegna che i capelli non hanno scopo funzionale per la razza umana che potrebbe sopravvivere benissimo anche se fosse completamente calva e forse gli uomini del futuro considereranno i capelli e i peli come annessi inutili, assolutamente poco igienici e verranno abituati a depilarsi in tutte le parti del corpo, testa compresa, fin dall'adolescenza.
Forse questo graduale cambiamento porterà ad altr nuove forme di moda capelli.
E' significativo a questo proposito l'esempio di "evirazione" subita da Sansone sconfitto dai Filistei solo dopo il tradimento da parte della propria donna, venuta a conoscenza che la sede della sua immensa forza era nei capelli.
Nella storia e nella mitologia i riferimenti ai capelli come sede di forza, di energia, di fertilità e virilità sono innumerevoli e li ritroviamo praticamente in tutte le culture umane, per una sorta di memoria mitico - storica comune le cui radici si perdono nella notte dei tempi.
Tornano in mente le usanze iniziatiche, proprie delle culture anteriori alla formazione di caste, che si ritrovano in tutti i continenti ma in particolare nelle isole dell'Oceano Pacifico, dove ai neofiti non veniva permesso di lasciar crescere i capelli che dovevano essere tenuti rasati o, in tempi successivi, dovevano essere nascosti da una calotta di pelle che mimava una calvizie e che non doveva essere tolta se non ad iniziazione completa; in particolare non era permesso ai giovani di mostrarsi alle donne senza tale copricapo.
Si riteneva che la crescita dei capelli permettesse la fertilità e la potenza sessuale e levarsi il copricapo di pelle era quindi contrassegno del passaggio dalla condizione di fanciullo a quella di uomo.
Così, ancora, per i monaci orientali il cranio rasato è simbolo di castità. I sacerdoti Ho delle tribù della Africa occidentale concepiscono i capelli come sede del Dio. I Masai posseggono la magia di "far pioggia" solo finché non si tagliano barba e capelli. In alcune zone della Nuova Zelanda, quando si riteneva indispensabile accorciare i capelli, si considerava il giorno del taglio come il più sacro dell'anno.
Moda aggressiva
Anche nella nostra cultura occidentale una gran massa di capelli costituiva patrimonio indispensabile alla potenza di un sovrano.
Basta pensare alla stupenda parrucca di riccioli inanellati di Luigi XIV ed al fatto che l'appellativo di "Cesare", "Kaiser", "Zar", attribuito nel corso dei secoli a sovrani o condottieri, ha anche un risvolto etimologico riferito a lunghi capelli da tagliare.
Così se Giulio Cesare si ritrovò di volta in volta costretto a ricorrere ad un riportino o ad una corona di alloro l'imperatore Adriano non esitò a dissimulare con una parrucca quello che i suoi contemporanei consideravano una grave deformità. La stessa corona regale del resto ha il significato di abbellimento della capigliatura (e di dissimulazione di una incipiente calvizie).
La calvizie della regina Nefertiti e la preoccupazione del popolo per la chioma della sovrana, indicano quanta importanza fosse data dagli antichi abitanti dell'Egitto alla loro capigliatura.
Lo scalpo è stato a lungo l'espressione del valore del guerriero, la prova del coraggio in battaglia, il segno tangibile di una vendetta ottenuta. Lo scalpo dei nemici uccisi era quindi un ambito trofeo nella tradizione bellica degli Sciti e dei Giudei di Maccabeo e lo divenne poi in quella dei pellerossa americani che pensavano che Manitù per portare in cielo i guerrieri uccisi in battaglia li afferrasse per i capelli.
Con l'avvento della religione cristiana la tonsura divenne pratica abituale per i monaci, convinti così di rendersi sessualmente non attraenti ed esprimere umiltà, obbedienza e distacco dai beni del mondo.
Imporre invece il taglio dei capelli è sempre stato segno di profondo disprezzo.
Ma perché allora gli umani di oggi, poveri primitivi, "tengono" tanto alla capigliatura da soffrire per essa? Perché hanno per la perdita dei capelli sensazioni di angoscia così importanti da portarli ad accettare cure dispendiose, spesso inutili e tentativi, anche dolorosi, di ricostruzione di un qualcosa che in fondo è biologicamente inutile, non avendo più significato né di termoregolazione né di protezione? Una risposta possono offrircela la psicologia e l'antropologia.
Una diversa lunghezza dei capelli fra maschio e femmina fa parte del nostro patrimonio culturale anche per motivi biologici. Sebbene la loro crescita in lunghezza avvenga nei due sessi quasi alla stessa velocità, nel maschio si ha un ricambio di capelli a velocità doppia o tripla di quella che si ha nella femmina, la fase anagen dei capelli di un uomo dura infatti mediamente circa 3 anni mentre nella donna dura fra i 6 e i 10 anni.
Il capello del maschio cade pertanto ad una lunghezza teorica di circa 30-35 cm mentre quello della donna può raggiungere anche i 100-120 cm.
La lunghezza dei capelli è pertanto, in natura, un attributo importante del dimorfismo sessuale. Siamo pertanto ancestralmente abituati a considerare che se un essere umano ha i capelli lunghi è femmina e se li ha corti è maschio.
E se i capelli non ci sono più?
Allora è come se ci fosse una regressione ad una condizione, come quella infantile, nella quale non si sono ancora ben differenziati i due ruoli, con i diritti ed i poteri che essi comportano.
La perdita dei capelli può essere pertanto inconsciamente vissuta dal maschio come perdita di virilità o castrazione, e dalla donna come perdita di femminilità.
Le usanze e mode nella gestione dei capelli nella danza
Gli antichi Romani tagliavano i capelli dei prigionieri, delle adultere e dei traditori.
I capelli sono sempre stati considerati anche simbolo di virtù muliebre, sicché la ricchezza di una fulgida chioma consentiva a Lady Godiva di apparire virtuosa quando a cavallo percorre nuda le strade di Coventry, mentre, anche nei tempi "recenti" della seconda guerra mondiale, donne accusate di facili costumi o di collaborazionismo con il nemico venivano rasate e poi costrette a mostrarsi ai concittadini. Anche le streghe, nel nostro medioevo, prima di essere giustiziate venivano rasate sia per esporle alla pubblica vergogna ed al disprezzo di tutti sia perché si riteneva che nei capelli fosse riposta gran parte della loro potenza malefica, sicché, rasate, non potessero più nuocere.
Nell'immaginario collettivo la calvizie conferisce inoltre un'idea di prematuro invecchiamento ed un esplicito segno di declino, ed è spesso per l'individuo causa di insicurezza nel suo inserimento sociale.
Concludendo: la diversa durata della fase anagen dell'uomo e della donna ha fatto sì che la lunghezza dei capelli sia diventata simbolo di dimorfismo sessuale.
L'essere umano ha poi riposto nei capelli significati simbolici sempre più complessi, sicché la loro caduta è spesso vissuta inconsciamente come uno stato di regressione ad una condizione infantile ed asessuata, come perdita di forza e potenza, come invecchiamento, come disonore, come castrazione. Nella storia umana nessuna cultura mai è rimasta indifferente ai problemi dei capelli.
Nell'essere umano i capelli hanno la funzione di essere visti per esprimere, fra conscio ed inconscio, complessi messaggi sociali!
E così è, fatte salve le differenze di stile, in molta cultura popolare occidentale, dove la calvizie viene associata alla forza virile e alla prestanza sessuale maschile, e dunque bassamente idolatrata.
Il cinema e la tv (che hanno tradotto il folklore a loro uso e consumo) non cessano del resto di presentarci bei tenebrosi pervicacemente calvi – da Yul Brinner a Claudio Bisio – che nulla hanno da invidiare ai loro numerosi colleghi dalla folta zazzera ai capelloni di moda oggi. Mike Jagger non la vince su Bruce Willis. Due stili e due mode differenti.
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